IL BAMBINO: L’ HO LETTO NEI TUOI OCCHI
“L’ ho letto nei tuoi occhi… segnati da un tempo non tuo…
Costretto a nuotare in putride acque limose trattenuto da mani callose di bestia…
L’ ho letto nei tuoi occhi… il tuo dolore sussurrato con mesto pudore a soffio di vento disperso nel vuoto dell’ indifferenza”.
Il “mestiere di genitore” è certo uno dei più affascinanti ma anche dei più difficili, sia per la complessità delle situazioni che si devono affrontare, sia perché nessuno ha ricevuto al riguardo una preparazione specifica. A chi si accinge a leggere queste riflessioni vorrei preliminarmente dire 2 cose:
la prima che descriverò sia situazioni “forti” sia situazioni che, nel nostro quotidiano, purtroppo potremmo essere soliti fare, senza renderci conto delle conseguenze che nel bambino purtroppo vengono generate;
la seconda è che queste riflessioni hanno avuto origine da numerosi incontri che ho avuto con genitori e dalle domande che mi sono state poste da loro con più frequenza.
Fortunatamente, siamo sempre più consapevoli che i bambini non si educano con le sculacciate; capita spesso di perdere il controllo, ma il senso di colpa che ci assale dopo aver alzato anche solo un dito sui nostri bambini ci conferma quanto sia sbagliato. Quindi è chiaro che le sculacciate comportino conseguenze negative, pertanto dovrebbero essere usate raramente e soltanto per evitare che il nostro bambino commetta gesti che possano mettere a rischio la sua incolumità. L’ importante è appartarsi con il figlio (se ci si trovasse in un luogo pubblico), lontano quindi da occhi indiscreti e spiegargli il motivo per cui lo si sta sculacciando con un linguaggio adeguato alla sua età.
Esistono però ferite che non rimangono sulla pelle, che sono paradossalmente “più profonde“ e perciò meno visibili ad occhio nudo, ma che talvolta non si rimarginano mai, rischiando di condizionare tutta la vita.
Uno schiaffo sappiamo cosa sia, una sculacciata anche. Più difficile, invece, è comprendere come anche LE PAROLE POSSANO PROVOCARE DOLORE.
Qualche esempio ?
1. Un semplice avverbio può trasformare poche parole in una condanna.
Magari non pensiamo davvero che nostro figlio sia un incapace, ma se abbiamo l’ abitudine di rimproverarlo dicendogli: “ma è possibile che sbagli sempre tutto ?” oppure “non capisci mai niente !” oppure “ma non sai nemmeno fare questo !”, generalizziamo un errore del momento, emettendo un giudizio che trasmette mancanza di stima e fiducia in assoluto.
2. Rispondendo ad un bambino che ci chiede aiuto: “ma come ? non sai farlo ? è così facile !” lo umiliamo.
Non esiste solo la violenza fisica dunque, ma anche una violenza più subdola, perché non facilmente riconoscibile né da chi la fa (che talvolta pensa perfino di agire a fin di bene), né da chi la subisce. Addirittura, il bambino potrebbe convincersi di meritare un tale maltrattamento e anzi sentirsi in colpa, non potendo accettare che i genitori che lui ama incondizionatamente, gli facciano del male. Ecco LA VIOLENZA PSICOLOGICA: ripetuti episodi di ricatti psicologici, manipolazioni, indifferenza, incuria, ostilità, mancanza di adeguati scambi emotivi e di ascolto dei loro bisogni o anche totale rifiuto.
Molto spesso mi sento dire: “ dottoressa mio figlio avrebbe bisogno di un percorso di psicoterapia”, oppure “dottoressa mia figlio ha dei problemi” etc….
In questi casi suggerisco sempre che siano i genitori a mettersi in discussione, in quanto sono questi ultimi che dovrebbero diventare anche i “terapeuti” dei propri figli, in quanto se il bambino (o ragazzo) “cambia” attraverso tale percorso, ritornare sempre in un ambiente “statico” e di “sofferenza” dove non vi è nessun cambiamento, è come arenarsi nella sabbia.
Attenzione, perché non volendo a volte assumiamo con superficialità alcuni atteggiamenti apparentemente innocui, che alla lunga, invece diventano distruttivi ed andrebbero assolutamente evitati.
Alcuni esempi:
a) Paragonare il nostro bambino ad altri è sbagliato. Evitiamo di dirgli: “vedi come è bravo il tuo cuginetto ?” e non mostriamoci delusi se prende un brutto voto o non vince una gara. Non deve mai dubitare del nostro amore, né pensare sia legato ai suoi successi.
b) Etichettare un bambino contribuisce a farlo sentire “diverso”. Dovremmo evitare di dirgli “cattivo”, “ignorante” e di screditarlo soprattutto pubblicamente.Che assurdità poi deridere un maschietto definendolo “femminuccia” solo perché magari è molto sensibile o piange spesso; oppure definire una bambina “maschiaccio” solo perché le piace giocare a calcio oppure odia le gonne.Anche se il bambino si comporta in modo sciocco o sbagliato, non definiamolo “incapace” ma limitiamoci a criticare il suo comportamento e non lui.
c) Non minacciamo di picchiarlo, di mandarlo in collegio, non volergli più bene, andare via, chiuderlo in una stanza al buio (sapendo che ne è terrorizzato) o altre cose simili.
d) Dire sempre “DOPO” o “ASPETTA”, oppure “FARE FINTA DI ASCOLTARE, quindi ignorarlo ripetutamente continuando a fare altro, equivale ad un calcio nel sedere. Il bambino deve capire che noi abbiamo anche altro da fare, ma non sottovalutiamo né banalizziamo i suoi tentativi di coinvolgerci e stare con noi. In fondo, possiamo sempre trovare 5 minuti da dedicare alle coccole o a ridere insieme.
e) Evitiamo toni alti e aggressivi. Ci sono persone, ormai adulte, che ancora oggi tremano se sentono gridare, perché traumatizzate dalle aggressioni verbali subite da piccoli. Mette tristezza, ma anche rabbia, vedere come queste ferite rendano fragili per sempre.
f) No ai ricatti affettivi. Non proviamo ad impedire a nostro figlio di fare qualcosa che non condividiamo, in quanto gli faremmo sentire un profondo senso di colpa o “inietteremmo” tanta insicurezza. Per chi è nella posizione della vittima è difficile accorgersi della violenza subita, perché in certe situazioni si sviluppano meccanismi psicologici per non vedere la realtà, quando questa diventa troppo sgradevole.
Il fatto di accettare di essere vittime da parte di una persona che si stima (il genitore) comporta un enorme carico di ansia che non è facile metabolizzare. E’ difficile accettare che qualcuno che dovrebbe amarti ti usi violenza. E dal momento che la vittima non ne capisce i motivi, diventa insicura, irritabile, aggressiva e persino violenta. I maltrattatori negano l’ aggressione, condiscono le loro frasi di humor, di ironia, di commenti apparentemente innocenti che vanno dritti ai punti deboli del maltrattato. Se la vittima si lamenta, si sente dire una cosa che l’ abbatte ancora di più: “scherzavo tesoro, non devi prendertela tanto” frasi che insinuano il sospetto che il bambino sia un instabile. Al contrario per garantire loro “TRANQUILLITA’”, “SICUREZZA”, “STABILITA’” e soprattutto “FIDUCIA” sia in se stessi e di conseguenza negli altri è indispensabile che i genitori trovino uno stile educativo il più possibile armonico evidenziando nella comunicazione, ciò che io definisco le “3 C”: Chiarezza, Coerenza e Costanza.
Ovviamente queste 3 C, non sono solo fondamentali nella relazione genitore/bambino, ma in qualsiasi relazione, contesto e situazione.
I bambini sentono la necessità di conoscere cosa attendersi come conseguenza dei loro comportamenti, devono avvertire certezza e prevedibilità da parte dei genitori. In questo modo cresceranno sicuri di sé, controlleranno l’ ansia con meno difficoltà nella vita e saranno meno ribelli ed aggressivi, poiché impareranno non solo ad obbedire, ma soprattutto a condividere il comportamento dei genitori e a farlo proprio. Eccessiva restrizione ed eccessiva permissività sono le due facce della stessa medaglia.
La violenza distrugge ciò che un genitore vorrebbe difendere: la dignità, la libertà e la vita delle persone.
Scrive Romano Battaglia “I figli sono come gli aquiloni che i genitori tengono legati con un filo. Se quando sono già alti, il filo non viene tagliato non impareranno mai a volare da soli e soprattutto non saranno liberi”.