Molto spesso sento dire in studio:
• “cosa posso fare per mia moglie?”
• “cosa posso fare per mia figlia?”
• “cosa posso fare per mio marito?” Etc.
I familiari, gli amici, non possono aiutare i propri cari di fronte ad un disagio psicologico, di qualsiasi natura esso sia. Perché ?
Sia perché i familiari non hanno gli “strumenti”, e quindi credendo di aiutare generalmente tendono a svalutare il malessere con frasi del tipo:
- “hai tutto dalla vita, perché ti lamenti? ”
- “non ti manca nulla non ha senso che stai male ”
- “vedrai che ti passerà ” etc.
Sia perché in terapia non si parla né ci si sente, bensì ci si RACCONTA, ci si OSSERVA, ci si ASCOLTA e tutto ciò avviene in un ambiente “asettico” e “neutrale”.
Si instaura un rapporto di profonda empatia che non è come “parlare” ad un’ amica o ad una madre.
Questo è uno dei tanti motivi per cui il lavoro psicoterapeutico è molto doloroso, non solo per il paziente, ma anche molto per il terapeuta stesso che si immerge nel dolore del paziente e tutto ciò purtroppo molta gente, non sapendo di cosa si tratti, giudica, etichetta e svaluta tale percorso a priori.
La psicoterapia è un incontro irripetibile.
Si hanno cose a priori per cui è importante avere un altro per aiutarci a comprendere, a dare un significato a ciò che sembra non averne.
Il grande prof. Giorgio Ferlini affermava che:
“Il terapeuta deve scendere dentro se stesso, ripercorrendo a ritroso il proprio cammino e ripartire insieme dal punto in cui il paziente si è fermato”.