LA SOLITUDINE: DIETA DELL’ ANIMA
“Ho cercato, ho sperato, ho lottato, ho atteso in questa umile casa che è la mia vita… !
Ora vedo e trovo solo vuoto in ogni stanza che la compone; apro porte, armadi, cassetti che trovo tutti vuoti e secchi, ma con ancora tanto colore.
Il vuoto rimbomba
Il vuoto accoglie
Il vuoto risucchia
Il vuoto attende di essere riempito”.
Nel corso della vita, un individuo potrebbe provare l’ esperienza della solitudine e se prova a confrontarsi con gli altri ci si accorge che non esiste una sola solitudine. Infatti ognuno di noi ha un modo proprio di viversela, di sentirsela, di rappresentarsela. Esiste dunque una solitudine diversa per ognuno di noi ?
Io credo di sì, proprio perché noi individui siamo tutti diversi, la storia di ognuno di noi è diversa, quindi non possiamo generalizzare facendo diagnosi o “etichettando” le persone, di conseguenza spiegare la “solitudine” non è facile, ma un tentativo credo sia doveroso farlo.
Nell’ esperienza umana c’ è una solitudine “ricercata” come valore, come spazio di individuazione e di introspezione, una solitudine necessaria nel sottolineare i momenti di separazione che segnano le tappe evolutive dei processi di crescita, cioè uno star bene “soli”.
Ci sono però anche stati psichici in cui la solitudine è sentita come condanna, come impossibilità o incapacità di “stare con”. E’ questo un sentimento spesso molto doloroso, in cui la percezione della solitudine si associa a stati interni di insoddisfazione, di tristezza, di ansia, di timore o addirittura di disperazione/panico.
La psicoterapia psicoanalitica, attraverso lo studio dei meccanismi psichici, ci dà la possibilità di indagare sino ad arrivare alle radici profonde, sui risvolti inconsci di questa sofferenza, della quale siamo in genere propensi a dare la responsabilità al mondo esterno. Vivendo questa emozione dolorosa percepiamo gli altri ingrati, invidiosi, egoisti che ci hanno abbandonato o ci stanno vicini senza amarci veramente, ma solo per sfruttarci o usarci opportunisticamente. Oppure ci sentiamo noi cattivi, egoisti o inadeguati, indegni di considerazione e quindi messi al cantuccio. Tale percezione dolorosa è un sentimento interiore, profondo, un disagio che si può sperimentare anche quando si sta in compagnia o in famiglia.
Il senso di solitudine come mancanza si accompagna spesso all’ idea di VUOTO.
Per dire che ci sentiamo soli usiamo spesso immagini come “sento un vuoto”, “la casa mi sembra vuota”, “sono come svuotata”.
Queste espressioni ci indicano quanto il sentimento di solitudine riguardi il nostro mondo interno.
A livello cosciente lo avvertiamo come esterno, come se fossimo privi di amici, di genitori, insomma di qualcuno che ci voglia bene e si curi di noi; è in realtà la proiezione al di fuori “della nostra casa interna”, di un vuoto, cioè dell’ assenza di quelle risorse interiori che ogni essere umano dovrebbe possedere.
Con una metafora è come se avendo fame ci si ritrovasse con la dispensa vuota, privati delle provviste che ognuno dovrebbe possedere per i propri bisogni. E’ proprio per questo vuoto che nella maggior parte dei casi, l’ individuo credendo di “colmare” o “riempire” questo vuoto si rifugia nell’alcool, droghe (di qualsiasi genere), cibo (abbuffandosi o rifiutandolo), credendo di riempire la propria dispensa per vivere, in realtà avvelena di più se stesso ampliando questo sentimento di solitudine, di malessere.
Concludo queste riflessioni con le parole di Carl Gustav Jung:
“Il viaggio più difficile di un essere umano è quello che lo conduce dentro se stesso alla scoperta di chi veramente egli è. Non c’ è presa di coscienza senza sofferenza. In tutto il mondo la gente arriva ai limiti dell’ assurdo per evitare di confrontarsi con la propria anima. Non si raggiunge l’ illuminazione immaginando figure di luce, ma portando alla coscienza l’ oscurità interiore. Chi guarda fuori sogna, chi guarda dentro si sveglia”.